Lo scorso 15 novembre, con il quinto incontro del 2024, si è chiuso per quest’anno il ciclo di conferenze sul tema della detenzione curato dall’Opera Barolo in collaborazione con il settimanale La Voce e Il Tempo, nell’ambito delle iniziative per il 160esimo anniversario della morte della Marchesa Giulia di Barolo…..

Esistono un “mondo fuori” e un “mondo dentro”. Il primo è quello dove la stragrande parte delle persone trascorre la propria giornata tra lavoro, scuola, momenti di svago e mille altre attività di vita quotidiana. Il secondo, quello “dentro”, è chiuso in cemento e sbarre e in quel microcosmo le persone che hanno commesso reati, e per questo sono state giudicate e punite, passano mesi o anni in stato di reclusione. 
Due mondi, da una parte il “fuori” che ogni giorno è sotto gli occhi di tutti e, in modo più o meno corretto ed esaustivo, può essere raccontato. Mentre il “dentro” è ignoto a molti e molto spesso appare impenetrabile, difficile da narrare se non per i fatti più eclatanti che avvengono in quell’ambito, riportando in non pochi casi una visione molto parziale e non sempre completa e corretta di quella realtà. Ciò nonostante la professionalità, l’attenzione e la serietà di chi per mestiere è chiamato a scrivere di quella realtà, come del resto richiesto dalla Carta di Milano, un protocollo deontologico per giornalisti che trattano notizie su carceri, detenuti ed ex detenuti.
E al tema, “Raccontare il carcere: tra diritto di cronaca e diritti delle persone private della libertà”,  è stato dedicato il quinto appuntamento del ciclo di conferenze sul carcere organizzato dall’Opera Barolo, in collaborazione con il settimanale diocesano La Voce e Il Tempo e l’Ordine dei Giornalisti del Piemonte, nell’ambito delle iniziative per il 160esimo anniversario della morte della Venerabile Marchesa Giulia Falletti di Barolo.
Qualche mese fa, un gruppo di giovani detenuti al Lorusso e Cutugno, partecipando a un progetto chiamato “Lettere dal carcere”, aveva scritto una missiva aperta in cui – come ha spiegato la garante comunale dei diritti delle privati della libertà personale, Monica Cristina Gallo, intervenuta all’incontro insieme al garante regionale dei diritti dei detenuti, Bruno Mellano –  tra i temi trattati hanno affrontato quello delle conseguenze legate all’identificazione delle persone coinvolte in fatti di cronaca giudiziaria. “Spesso – hanno scritto i ragazzi – sui media viene riportato il nome e il cognome dei soggetti coinvolti nel fatto raccontato. Questo aspetto ci pare di particolare gravità, cioè il mettere alla gogna, sulla pubblica piazza, una persona indicandone tutte le generalità”. Secondo gli autori della lettera, ciò è grave e non senza conseguenze perché “i cittadini che commettono un reato e che scontano una pena, ancor più se giovani, hanno il diritto di potersi ricostruire una vita nella legalità, possibilità che viene loro di fatto negata dalla pubblicazione dei nomi e dei cognomi, che amplificano lo stigma della detenzione e rendono difficilissimo il reperimento di un lavoro. Chi assumerebbe – è stata l’amara sottolineatura dei detenuti – un delinquente apparso su tutti i giornali?”
Dai ragazzi, nella lettera, una triste considerazione unita a un auspicio. La conseguenza è una forma di espulsione sociale “che – questo il loro pensiero – inizia con l’articolo di giornale e continua col tempo vuoto dalla branda al carrello” (ovvero, con la mancata applicazione delle misure alternative alla detenzione), l’auspicio coincide invece con la speranza che le loro parole “possano davvero entrare a far parte del dibattito pubblico, perché rappresentano la testimonianza attiva di una partecipazione che batte l’indifferenza e produce cambiamento”.
Una percezione diversa di quel “mondo dentro” che può essere favorita approfondendone la conoscenza attraverso l’impegno di scuole e atenei, come ricordato dal professor Claudio Sarzotti del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino e direttore della rivista Antigone,  e Tommaso De Luca, presidente dell’Associazione delle Scuole Autonome del Piemonte, o quella diretta  con l’incontro con chi vive o a vissuto quella realtà, come nel caso dell’iniziativa curata dalla professoressa Valentina Albertella, oggi insegnante alla Scuola Europea A. Spinelli, che lo scorso anno con i suoi studenti della Sacra Famiglia aveva organizzato un faccia a faccia con una persona che aveva vissuto l’esperienza del carcere e le sue conseguenze, anche una volta scontata la pena tornata in libertà. 
Dobbiamo “rinunciare alla durezza del giudizio inappellabile, purtroppo diffuso nella società, nei confronti di chi sbagliato e sta pagando per il proprio errore” – ha scritto l’arcivescovo di Torino, monsignor Roberto Repole, in un messaggio indirizzato a giornalisti, giovani studenti della facoltà di Giurisprudenza dell’ateneo torinese e alle altre persone presenti all’incontro.  “Bisogna rispettare il corso della Giustizia, ma soprattutto combattere perché i detenuti siano riconosciuti nella loro dignità e siano amati come uomini e donne.  Nostro compito è aiutare ogni uomo e ogni donna a risollevarsi dalla propria condizione di fatica, anche quando ha commesso gravi errori. Questa, in ultima istanza, è la civiltà. E questo è il comandamento di Gesù”.
Con l’incontro “Raccontare il carcere: tra diritto di cronaca e diritti delle persone private della libertà” si è chiuso, per quest’anno, il ciclo di conferenza sul carcere organizzato dall’Opera Barolo con La Voce e Il Tempo.