Camminando lungo il percorso di visita che conduce agli spazi museali dello storico Palazzo Falletti di Barolo, mentre si attraversa il corridoio affacciato sull’ampio atrio con lo scalone monumentale che porta al piano nobile della aristocratica residenza torinese tardo seicentesca, da qualche settimana è possibile ammirare una scultura che ritrae la Venerabile Giulia Colbert de Maulevrièr, marchesa Falletti di Barolo per matrimonio, una delle figure femminili più straordinarie dell’Ottocento…..

Camminando lungo il percorso di visita che conduce agli spazi museali dello storico Palazzo Falletti di Barolo, mentre si attraversa il corridoio affacciato sull’ampio atrio con lo scalone monumentale che porta al piano nobile della aristocratica residenza torinese tardo seicentesca, è possibile ammirare una scultura che ritrae la Venerabile Giulia Colbert de Maulevrièr, marchesa Falletti di Barolo per matrimonio, una delle figure femminili più straordinarie dell’Ottocento.
La scultura, svelata ufficialmente in occasione del tradizionale appuntamento con gli auguri natalizi dell’Opera Barolo, è stata realizzata dall’artista Gabriele Garbolino Rù, docente dell’Accademia delle Belle Arti di Torino, e gli è stata commissionata dall’Opera Barolo per il centosessantesimo anniversario della morte della marchesa, avvenuta infatti il 19 gennaio del 1864.  
Il busto “è frutto – come spiega lo storico dell’arte Enrico Zanellati, curatore del progetto che ha portato a realizzare la scultura – di una attenta indagine storica e ricostruisce il volto di Giulia di Barolo nel 1814, quando, all’età di ventotto anni, entrò per la prima volta nel carcere torinese, iniziando allora il suo instancabile servizio per umanizzare e riformare il mondo carcerario, soprattutto femminile”.
Il carcere, le condizioni disumane in cui era tenute le detenute nelle prigioni torinesi del primo Ottocento e la necessità di offrire loro l’opportunità di vivere un futuro diverso da quello segnato dall’illegalità, dallo stare ai margini della società  o dietro le sbarre, avevano spinto la marchesa Giulia ad iniziare, con azioni concrete, la sua attività in campo sociale ed educativo a favore delle persone più fragili, partendo, come detto, proprio dalle donne recluse.  Ed è anche questo uno dei motivi perché, nell’anno del centosessantesimo della sua morte, l’Opera Barolo in collaborazione con La Voce e il Tempo ha anche organizzato un ciclo di conferenze in cui sono stati affrontati, sotto diversi aspetti, i temi legati al funzionamento del sistema penitenziario nel nostro Paese, al reinserimento in società degli ex detenuti e alla trattazione mediatica della materia: cinque incontri, dal primo sul libro di Marina Lomunno e Giuseppe Giunti “E-mail a una professoressa. Come la scuola può battere le mafie”, a quelli sui temi “Art. 27 della Costituzione: … Le pene … devono tendere alla rieducazione del condannato”,  “Cultura, studio e formazione professionale in carcere”, “Volontariato in carcere” e ultimo appuntamento lo scorso novembre con “Raccontare il carcere: diritto di cronaca e diritti delle persone private della libertà”, quest’ultimo curato insieme all’Ordine dei Giornalisti del Piemonte.
Un’iniziativa, le conferenze sul carcere, pensata soprattutto per –  come aveva sottolineato l’arcivescovo di Torino e presidente dell’Opera Barolo, il cardinale Roberto Repole, in un messaggio inviato in occasione dell’ultimo incontro – “aiutare Torino ad accendere i riflettori sulle condizioni delle carceri, sulla vita dei detenuti e sull’atteggiamento dell’opinione pubblica rispetto a questo mondo di sofferenza, a tratti drammatica”.